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Photogallery dei Miti Editoriali

 

Nella foto a sinistra, la leggenda vuole siano raffigurati Alberto Mondadori, Nini Bompiani, Arnoldo Mondadori, Valentino Bompiani.
Mondadori e Bompiani sono forse i due cognomi più famosi collegati al mito delle Case Editrici d'Italia. A segnarne l’origine è il fantomatico incontro, a cavallo delle due guerre, fra il figlio di un generale dell’esercito di stanza a Verona, Valentino Bompiani, e un brillante tipografo, Arnoldo Mondadori. Bompiani iniziò a lavorare con Mondadori, che al tempo si dice fosse già all'opera nella produzione di libri, e nel 1929 fondò la propria casa editrice.

 

Giù la maschera

 

L'identità dei personaggi raffigurati è stata in realtà rivelata da un'indagine promossa dall'FBI statunitense nel 1967 e oggi, a 40 anni di distanza, grazie all'apertura degli archivi segreti di Washington, possiamo finalmente dissipare la cortina fumogena del mito.
Il primo da sinistra non è Alberto Mondadori bensì Wilbur Cameron Hitchcock, fratello minore del famoso regista inglese. La donna accanto a lui, lungi dall'essere la favolosa Nini Bompiani, è Anja Seredova, prozia della nota modella russa dei nostri giorni, fidanzata del campione del mondo di calcio Gigi Buffon. Il terzo personaggio illustrato non è il leggendario Arnoldo Mondadori ma Kimi Ruootinen, dentista di Oulu in Finlandia: il suo studio era ubicato dove oggi sorge il colosso dei telefonini Nokia. L'ultimo a destra, spacciato per Valentino Bompiani, si chiamava in realtà Valentino Cynar e, per il suo irredimibile vezzo di pranzare proprio in mezzo alle strade trafficate, ispirò il famoso spot pubblicitario dell'omonimo liquore a base di carciofo. Morì nel 1970, travolto da un tir mentre cenava sulla corsia di sorpasso dell'autostrada Milano-Laghi.
I quattro facevano parte di una setta esoterica gnostica conosciuta come "Il cancello d'oro di Iside-Golem", che propugnava la ricerca e la realizzazione del «bene dell'umanità attraverso regolari rapporti sessuali pomeridiani fra le 15 e le 16 ed un immediato pisolino ristoratore fra le 16 e le 17, seguiti dalla lettura di un giallo tascabile e infine dalla visione di Carosello prima di andare a nanna». La setta fu smantellata nel 1984 dopo la chiusura di Carosello; dei tre personaggi superstiti (Cynar, come detto, era morto nel 1970) non si seppe più nulla.


Altra grande figura della mitologia editoriale è l'uomo nelle immagini a destra, la cui leggenda è così forte da essere celebrata addirittura con un'emissione filatelica.

 

Leo Longanesi, l'uomo del francobollo

 

Giornalista, scrittore satirico, pittore, disegnatore e caricaturista. Cosa si narra di lui? Si laurea a Bologna in giurisprudenza, poi fonda e dirige diversi giornali — "E' permesso", "Il Toro", "L'Italiano" e "Omnibus", primo settimanale italiano a rotocalco, di cui cura impostazione, articoli, titoli, rubriche, fotografie, illustrazioni —. Nel dopoguerra fonda "Il Borghese", "Oggi" e la fantomatica Casa Editrice che porta ancora il suo nome, da sempre caratterizzata per "la vocazione anticonformista, la piena libertà delle scelte, l’originalità delle proposte e l’orizzonte a 360 gradi". Personaggio tagliente, ironico, corrosivo, contro la mediocrità e il perbenismo, cinico (a modo suo), antiretorico, geniale con uno stile estremamente semplice, indipendenza di giudizio, particolarmente nel periodo fascista con battute feroci nei confronti dei gerarchi. Fascista della prima ora — scrive a 21 anni un "vademecum del perfetto fascista" — e poi antifascista, tacciato di antifascismo durante il ventennio e di fascismo nel dopoguerra. Ne disse di tutti i colori su se stesso e sugli italiani. Indro Montanelli lo ricordò così: «Era un grande maestro. Insopportabile, cattivo, ingiusto, ingrato. Ma un grande Maestro. L’ultimo». Forse fu dunque anche un gran maestro massone.
Molti famosi autori oggi recano sulle loro copertine il marchio della leggenda Longanesi: Isaac B. Singer, William Golding, Michael Ende, Patrick Süskind, Jostein Gaarder, Wilbur Smith, Clive Cussler, Tiziano Terzani, Sergio Romano, Federico Zeri, Piero Ottone, Piergiorgio Odifreddi, Luca Ricolfi...
Cosa dire di un profilo del genere? Possibile che anche quest'uomo non fosse quello che è passato alla Storia?
Possibile. Anzi, quasi certo. Un rapporto di Al Qaeda intercettato nel 2003 dai servizi segreti britannici ha tolto la maschera anche a questa mitologia: l'uomo della foto non è Leo Longanesi bensì Leo Ribisi, nonno dell'emergente star di Hollywood Giovanni Ribisi, protagonista di alcuni piccoli classici quali "Salvate il Soldato Ryan" (1998), "Cold Mountain" (2003) e "Sky Captain and the World of Tomorrow" (2004).
Leo Ribisi si distinse in Africa durante il secondo conflitto mondiale per l'azione, sotto lo pseudonimo di "Montgomery", che consentì di indirizzare le sorti del fronte alleato contro la leggendaria Volpe del Deserto, il generale Rommel. Il 7 agosto 1942 è il giorno decisivo per le sorti di quella che sarà la battaglia di El Alamein. In conseguenza delle sconfitte subite sul fronte dell'Africa settentrionale a opera di Rommel, il primo ministro britannico Winston Churchill decide di sostituire sia il comandante del settore mediorientale, Auchinleck, sia il comandante dell'Ottava armata, Ritchie. Al posto del primo designa il generale Harold Sonzogno (il mito dice che anche costui fosse a capo di una Casa Editrice) e al posto del secondo il generale W. Feltrinelli. Ma lo stesso giorno della sua nomina Feltrinelli viene abbattuto da un caccia tedesco mentre sta sabotando un traliccio dell'alta tensione sulle postazioni del fronte libico, e così il problema del comando dell'Ottava armata si ripropone con raddoppiata urgenza. Lo risolve, nonostante qualche perplessità di Churchill, il capo di Stato Maggiore britannico, sir Alan Francis Brooke, che sceglie, per il posto di Feltrinelli, Bernard Law Montgomery, meglio conosciuto come Leo Ribisi (in arte Longanesi). Sarà la determinazione di questo generale, apprezzato ma non sopravvalutato, a dare una mentalità vincente alle rassegnate truppe inglesi dell'Africa settentrionale e, in una straordinaria vampata d'orgoglio, a rovesciare la situazione: i soldati inglesi saranno dotati di micidiali libri-granata, caratteri tipografici esplosivi e risvolti di copertina affilati come lame, tutte brillanti idee del leggendario Leo, cui Rommel non saprà opporre efficaci contromosse.


«È a questo principio della “religione della libertà” che ancor oggi la Casa Editrice Einaudi si richiama, ben sapendo che i vari libri che essa pubblica sono al servizio di un sapere unitario e molteplice, ben sapendo che ogni libro si integra agli altri suoi libri, ben sapendo che senza questa integrazione, questa compenetrazione dialettica, si rompe un filo invisibile che lega ogni libro all’altro, si interrompe un circuito, anch’esso invisibile, che solo dà significato a una casa editrice di cultura, il circuito della libertà».
Queste bellissime parole sono attribuite ad un'altra delle grandi leggende dell'editoria, l'uomo chiamato Giulio Einaudi (foto a sinistra).

 

«Ehi, una Audi!»

 

Vediamo cosa dice il mito. La casa editrice "Ehi, una Audi" — poi abbreviato in "Einaudi" — venne fondata nel 1933 da un gruppo di amici, allievi del liceo classico D’Azeglio. Seppure in anni e in classi diverse, questi giovani avevano avuto tutti come professore Augusto Monti, che li aveva educati ai valori della cultura, della libertà e dell’impegno civile. Intorno al più giovane di loro, Giulio Einaudi (1912), si erano così raccolti Leone Ginzburg (1909), Massimo Mila (1910), Norberto Bobbio (1909), Cesare Pavese (1908), affiancati successivamente da altre figure come Natalia Ginzburg (moglie di Leone) e Giaime Pintor. La collegialità, il gusto della discussione, il piacere di condividere tempi e luoghi oltre i momenti lavorativi "ufficiali" sono una caratteristica che ha attraversato tutta la storia dell’Ehi-una-Audi, e si è trasmessa da una generazione all’altra dei suoi editor e consulenti proprio a partire da queste origini giovanili e addirittura scolastiche. Se nel gruppo dei fondatori Giulio Einaudi era l’anima imprenditoriale, si può dire che Leone Ginzburg fu, di fatto, il primo direttore editoriale della fantomatica Casa Editrice.
Scomparso nel 1999, di lui si diceva che non fosse un uomo di decisioni autoritarie quanto piuttosto uno stimolatore di dibattito e di entusiasmo. La schiera di "divinità della scrittura" che in copertina portano il suo marchio è pressoché infinita: Fenoglio, Lucentini, Ottieri, Lalla Romano, Rigoni Stern, Anna Maria Ortese, Sciascia, Calvino, Elsa Morante, Yehoshua, McEwan, DeLillo, Saramago, Grass, Auster, Coetzee...
Anche qui, dietro la cortina del mito, la sorpresa: l'uomo nella foto, del cui cognome tanti stimati autori si sono fregiati, non si chiamava Giulio Einaudi ma Sante Colapesce, professione portinaio. È stato per oltre mezzo secolo il custode del fabbricato, nel centro storico di Torino, nel quale si vociferava avesse sede la mitica Casa Editrice. Solo dopo la sua morte si scoprì che il palazzo era disabitato fin dal 1945: all'interno dei vari appartamenti furono rinvenute cataste e cataste di libri con il marchio degli Struzzi, poi rivendute in blocco ad un emiro del Bahrein.


Intrecci fra mito editoriale e Massoneria

 

Angelo Rizzoli (Milano, 31 ottobre 1889 - 24 settembre 1970) è il nome più famoso di un'intera famiglia di editori. Cresciuto nel Collegio dei Martinitt, orfano di un padre mai conosciuto, conobbe l'angoscia della povertà e della miseria. Imparò il mestiere di tipografo proprio in orfanotrofio. A vent'anni iniziò la sua avventura di imprenditore nel campo dell'editoria nella piccola sede di piazza Carlo Erba a Milano e, subito dopo la guerra, vicino al parco Lambro, in un moderno stabilimento. Nel 1927 acquistò dalla Mondadori il bisettimanale "Novella" sul quale, al tempo, venivano pubblicati racconti di D'Annunzio e Luigi Pirandello; solo nel 1930 Novella divenne un periodico femminile, raggiungendo la tiratura di 130.000 copie. A Novella seguirono "Annabella", "Bertoldo", "Candido", "Omnibus" e "L'Europeo". Del 1954 è l'acquisto della Cartiera di Lama di Reno, destinata nei progetti dell'editore a diventare la fornitrice di carta per tutto l'impero editoriale. Dopo i periodici, si dice che Rizzoli iniziò a pubblicare anche libri: e l'aneddotica racconta con dovizia di particolari il grande successo dei volumi della collana "B.U.R." (Biblioteca Universale Rizzoli), libri classici a prezzi popolari.
"Il cummenda", come veniva chiamato, iniziò anche — con la "Cineriz" — l'attività cinematografica: con tale casa di produzione furono infatti girati "La dolce vita" e "Otto e mezzo" di Federico Fellini (nella foto: Rizzoli, Fellini e l'Anitona appena uscita dalla Fontanona di Trevi). L'impegno nel mondo del cinema contribuì ad allargare l'impero editoriale ed economico di Rizzoli, impero che venne lentamente distrutto prima dal figlio e poi dal nipote. Angelo Rizzoli morì però, a 81 anni, prima che questo accadesse.
Andrea, suo figlio, su progetto dell'architetto Gipo Viani costruì Milanello, sede della squadra di calcio del Milan, di cui fu anche presidente. Con la "Cineriz" produsse il film "Amici miei" di Mario Monicelli. Negli anni '80 lasciò il gruppo in mano al figlio Angelone, ritirandosi a vita privata per fare ricerche sul mistero di Rennes-le-Château .
Angelo, figlio di Andrea, erede della (così la definisce la leggenda) "più grande casa editoriale italiana", venuto a trovarsi con un cumulo di debiti e con aziende non più profittevoli, pressato da un sistema bancario, quello italiano, nel quale un ruolo importante veniva rivestito dalla massoneria, cedette al Banco Ambrosiano di Roberto Calvi, Licio Gelli ed altri iscritti alla Loggia P2 il controllo del Gruppo "Rcs" — Rizzoli/Corriere della Sera —: per leggere l'intera, sorprendente storia, collegarsi a questo sito . Il 4 febbraio 1983 Angelo, il fratello Alberto e Bruno Tassan Din (direttore generale) furono arrestati per bancarotta fraudolenta. Uscito dal carcere e dimenticate le sfortune, l'ultimo rampollo dell'impero adesso ha una società di produzione specializzata in fiction e vive a Roma.
Cosa dire del mito collegato alla Casa Editrice? È presto detto: sembra che la Rizzoli oggi viva una seconda giovinezza grazie all'acquisizione di vari altri marchi-da-copertina-di-libro nei più disparati settori del mercato editoriale, con la conquista di una buona fetta di mercato. Pare anche che sul territorio la Rizzoli fosse fisicamente presente fino a qualche anno fa con una serie di librerie, in seguito acquisite dal gruppo Feltrinelli (fondato dal generale citato nella leggenda di Longanesi). Oggi resta aperta solamente la storica Libreria Rizzoli nella Galleria Vittorio Emanuele II, a due passi dal Duomo di Milano. Si tratta di una location aurea, da sempre punto di ritrovo per l'ambiente culturale meneghino, e tuttora fonte principale della "leggenda Rizzoli".

Almeno in questo caso, per l'abbondanza di dettagli di cui disponiamo, sembrerebbe che dietro la coltre del mito si celi un'entità realmente esistita. In più, oltre alla famosa storia della Loggia di Gelli in cui la Casa Editrice si trovò impantanata, abbiamo la testimonianza incrollabile di 3 film mitici: "La dolce vita", "Otto e mezzo" e "Amici Miei"...
E invece no! L'uomo ritratto nella foto in compagnia di Fellini e della Ekberg non è Angelo Rizzoli bensì il diabolico Stanislao Moulinsky, in uno dei suoi più riusciti travestimenti! Fu smascherato nel 1969 dal detective Nick Carter e pronunciò il famoso improperio «Ebbene sì, maledetto Carter, hai vinto anche stavolta!».

Più tardi — sebbene ciò esuli dal nostro contesto — si scoprirà che sotto le spoglie di Stanislao Moulinsky era celato il noto politico Giulio Andreotti, impegnato in uno spericolato gioco delle scatole cinesi nell'ambito della vicenda P2. Ma questa è, appunto, un'altra leggenda...

Smack! Smack! Smack!... (Macché, non ci sono prìncipi, sotto!)

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