L’intervista |
Testo integrale dell’intervista rilasciata alla giornalista Zaira Bartucca, per le pagine culturali del Corriere della Calabria — 28 agosto 2014 |
D: Quando ha inizio la sua attività di scrittore? Come mai la decisione di auto-pubblicarsi?
R: La “creatività” è sempre stata un mio problema. In senso positivo: venendo al mondo mi sono ritrovato dotato di talento per il disegno e per le parole messe in fila, e la natura mi ha sussurrato in un orecchio fin dall’inizio un ordine perentorio: «inventa». Così a 6 anni ho cominciato con i fumetti, a 10 con i racconti (di fantascienza), a 12 con le poesie; a 15 è arrivata la passione per la musica e ho iniziato a scrivere anche canzoni. Continuo a scoprire nuovi lati di me ancora oggi: a quasi 50 anni ho cominciato a fare satira.
Ovviamente un libro cartaceo, o un quadro, o addirittura una statua, sono difficilmente “scaricabili”, come avviene per le canzoni. Il libro deve prima diventare un e-book, che però ha caratteristiche completamente differenti; un’opera stampata te la porti in bagno o a letto o al mare e non ha bisogno di batterie. Dunque un libro “pubblicato” resterà ancora a lungo un volume cartaceo con le pagine e l’inchiostro. Però si può fare a meno di “tutto il resto”: Editori, Agenti, Grossisti, Magazzinieri, Negozi. Che sovraccaricano di costi il prodotto prima che giunga all’utente finale.
D: Quali tematiche predilige nei suoi testi?
R: Non c’è una predilezione, sebbene poi nei fatti concreti io abbia prodotto molta saggistica sulla figura storica di Gesù (si badi bene: storica, non religiosa) e sui fatti ed eventi dei secoli successivi in qualche modo a lui riferibili.
Per usare le parole di Tabucchi, la vita non è in ordine alfabetico, come sembrano credere in parecchi. Appare un po’ qua e un po’ là, come meglio crede; briciole (il problema è raccoglierle dopo), anzi, un mucchietto di sabbia. Qual è il granello che sostiene l’altro? A volte quello che sta sul cocuzzolo e sembra sorretto da tutto il mucchietto, è proprio lui che tiene insieme tutti gli altri, perché quel mucchietto non ubbidisce alle leggi della fisica, togli il granello che credevi non sorreggesse niente e crolla tutto, la sabbia scivola, si appiattisce e non ti resta altro che farci ghirigori con un dito, sentieri che non portano da nessuna parte, dài e dài, stai lì a tracciare ghirigori, ma dove sarà quel benedetto granello che teneva tutto insieme? Poi un giorno il dito si ferma da sé, non ce la fa più con gli andirivieni; sulla sabbia c’è un tracciato strano ma avvincente, un disegno con una logica e un costrutto. Ti viene un sospetto: che il senso di tutto siano i ghirigori... Le mie storie, le mie canzoni, sono nate così: ho disegnato qualcosa di vasto e articolato sulla sabbia, alla ricerca d’un granello iniziale perduto. Che ovviamente non ho mai ritrovato. Ma l’emozione che si prova davanti al disegno finale sulla sabbia ripaga d’ogni cosa.
D: Esiste un filo conduttore tra la sua attività di scrittore, compositore e umorista?
R: No. Sono tutte cose che convivono separatamente dentro di me.
D: Come nasce una traccia musicale? Ha un gruppo di lavoro?
R: Non è necessario un gruppo. Tutto ciò di cui personalmente ho bisogno è di avere uno strumento accanto, sia esso una chitarra classica o una “mostruosità moderna”, per esempio una “app” appena comprata per l’ipad con un sintetizzatore simulato! Appena mi metto a giocarci, nasce una canzone. È più forte di me. Ma mi accade anche di alzarmi al mattino e fischiettare qualcosa, senza strumenti: allora raccolgo il telefono, lancio la app “memo vocale” e registro subito quel motivo, prima che sfugga via. Ho una serie di files disseminati dappertutto, telefono, tablet, Mac: tutti brevi “memo vocali” in cui si sentono questi folli fischiettii, o un “la la la” cantato a voce.
D: Si sente ispirato dalla Calabria? Dalla sua città o dalla regione in generale ha mai tratto ispirazione per i suoi lavori?
R: Certo! La mia terra è fonte costante di spunti. Ho un rapporto viscerale con il clima, la forma delle montagne, il rumore del mare. Il vento. Che a volte è una carezza, a volte uno schiaffo. Amo il vento crudo e senza sotterfugi dello Stretto: quando morirò, andrò a farne parte.
D: Nel suo sito si legge “calabrese non praticante”: perché? La Calabria ha dei demeriti nei riguardi della sua attività?
R: Purtroppo la Calabria, il mio amore che brucia sottopelle, è stata anche il mio freno. A 22 anni emigrai a Milano e divenni pubblicitario, lavoro che faccio ancora oggi per vivere. Era l’occasione della vita: da là, avendo un briciolo in più di fiducia in me stesso e nel mio talento di quella che ebbi allora, sarei potuto salpare verso chissà quali lidi, professionali e umani. Invece, tre anni dopo tornai nella mia città, aprii la mia piccola attività e non mi mossi più. Questo “amore sbagliato” mi ha negato gli spazi e le opportunità che altrove avrei trovato facilmente. C’è poco da fare, e non lo scopro certo io: Reggio Calabria, da decenni, è soltanto un dormitorio per impiegati dello Stato e malavitosi, non una moderna città occidentale.
D: Progetti futuri?
R: Ho i cassetti pieni di progetti. A livello narrativo, ho in cantiere “La memoria e il dubbio”, un giallo-noir, uscita prevista entro un anno; poi il seguito del romanzo “L’Uomo Nuovo”, infine il saggio “Civiltà antidiluviane”, sulle tracce di una civiltà molto antica — la più antica del nostro pianeta, sul finire dell’ultima èra glaciale —, che una serie di studi sempre più accreditati sembra indicare “alla base” di quelle Sumera, Egizia, Olmeca e Khmer, testimoniata dalla diffusione delle piramidi e del mito del diluvio in ogni angolo del pianeta.
(Qui un'altra intervista su WhoHub, in tema «creatività».) |