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ISBN 9788865018040

Caratteristiche: 34 pagine f.to 180x180mm (tutte stampabili).
Dimensione file in download: 0,6 Mb. Versione unica: non sono previsti aggiornamenti.

La Possibilità di Moebius (1992/2009 - novel)

Racconto originale — Genere: Fantascienza

TRAILER

 

(...) Questo, è ciò che dissi loro. Che la medaglia ha due facce, ma è sempre una medaglia.
Il vero problema, mi hanno fatto capire, è che questa medaglia ha più di due facce; o meglio, potrebbe anche averne una sola.
Potrebbe essere una medaglia di Moebius?, pensai. Parole sante... — ci sono oggetti che esistono solo nella nostra mente di presuntuosi: i buchi, per esempio, o le asole; hanno un nome e un valore, ma di fatto sono solo modificazioni della forma dell’oggetto alle cui spalle, parassitariamente, prendono vita.
Questo, poteva essere quel dannato oggetto: un parassita della realtà, che esiste solo nella nostra mente.
Per cui eccomi lì a Plir, con tre valigie di libri antichi, e le prime ferie dopo quattro anni, da sacrificare alla dannata faccenda. Mica giusto! Per cui me ne sbattevo. «Quando torno, rinuncio», mi convincevo. «Il manufatto non esiste: è una nostra invenzione. È un parto della nostra mente corrotta». Come i buchi. O le asole. (Parole sante...).

 

(...) Ah, il genere umano. Gran strano casino. Quando apparve, nel Paleolitico, raccoglieva i frutti spontanei della terra. Cacciava. Non c’era merce, non c’era scambio, non c’era rapporto di potere. Ognuno prendeva ciò che la Natura offriva, perché la Natura ha sempre offerto gratuitamente, la Natura non ha mai conosciuto borsa, listini, ricatti, economia di mercato. L’uomo del Paleolitico è cresciuto non sullo sfruttamento della Natura ma sulla simbiosi con essa: come il bambino nell’utero. La centralità della figura femminile in quell’epoca era il simbolo della gratuità della Natura.
Ma con la rivoluzione neolitica si sfascia il sogno: qualcuno inventa l’agricoltura, e la Natura cessa di offrire spontaneamente. Bisogna strapparle i frutti col sudore e la fatica. Con la nascita dell’agricoltura il territorio non è più libero: qui c’è il campo coltivato e lì c’è la Natura selvaggia. Qui c’è il mio campo, il mio aratro, i miei raccolti, le mie vacche, e lì sta il tuo. La Natura viene ora offesa da confini e limiti. Il mondo è sotto il tallone della merce. La Natura e la donna sono assimilate allo stesso misero destino: ammirate come oggetto e disprezzate come soggetto.
Perché l’umanità abbia oltrepassata quella soglia è un mistero. Certo, l’agricoltura e il commercio lasciavano intravedere alcuni vantaggi. Indipendenza dalle stagioni, dai capricci del clima, dagli sbalzi demografici. Ma sull’altro piatto della bilancia l’uomo mise a sua insaputa la schiavitù: il lavoro, la guerra, la vendetta, l’angoscia, il denaro, la politica, il ricatto. L’arrivare a casa quando il sole è basso e raccogliere con tragicomica fatica i frantumi dei brandelli dei resti di se stessi. Da allora scienziati, avventurieri, pionieri, profeti, politici non imboccarono altra strada che non fosse quella verso un bancone di vendita. Lasciando solo barlumi di speranza: l’arte, la creatività, l’innocenza infantile, l’amore. Tanti piccoli Ararat.

 

(...) Un nastro di Möbius può essere facilmente realizzato partendo da una striscia rettangolare di tessuto e unendone i lati corti dopo aver impresso a uno di essi mezzo giro di torsione, pari a 180°. A questo punto, se si percorre il nastro con una matita partendo da un punto qualunque, si noterà che la traccia si snoda sull’intera superficie del nastro, che è quindi unica (il segno della matita tornerà al punto di partenza proveniendo dalla direzione opposta, senza mai fermarsi). Ma le cose più interessanti cominciano ad accadere quando si prende un paio di forbici. Tagliando il nastro a metà, parallelamente al bordo, si ottiene un altro nastro però con una torsione intera, due bordi e due superfici diverse; dunque, come dicono i matematici, orientabile. Prima sorpresa: i due bordi separati dalle forbici rimangono un solo bordo, quindi la figura viene completamente tagliata a metà ma rimane attaccata; tagliando ancora a metà questo secondo nastro si ottengono due nastri con torsione intera, uno dentro l’altro. Tagliando il nastro a un terzo della sua larghezza si possono fare due giri con le forbici e si ottengono due nastri concatenati, uno grande la metà dell’altro, dove quello piccolo è ancora un nastro di Möbius, con mezza torsione, mentre quello grande ha una torsione intera... Follia pura. Eppure accade. È un cancello dimensionale. È il Creatore in concerto live, che agisce attraverso un banale paio di forbici.
«Vuoi vedere dio all’opera?» direbbe il mio amico Syggs, «procùrati una striscia di qualcosa di morbido e uniscine i due lati corti con una torsione, e poi datti da fare con delle forbici...», e avrebbe ragione. Sebbene sia abbastanza difficile, ormai, trovare in commercio uno strumento vetusto come le forbici — il laser o il saser non dànno la stessa soddisfazione, ma si può provare anche con quelli, a tagliare, ed è proprio ciò che avevo in testa, io, il funzionario Dunn Hector, un bel saser o un bel laser, una volta che mi fossi trovato laahhh, davanti al manufatto della mia santissima minchia...

 

(...) Si deve arrestare lo scorrere del Tempo: altrimenti Achille non raggiungerà mai la Tartaruga. So che è difficile da capire, e all’epoca, pur avendolo pensato, nemmeno io riuscii a capirmi. D’altro canto c’è poco da fare: se la Tartaruga continua a rimpicciolire all’infinito le porzioni temporali e a porgerle ogni volta dimezzate al suo inseguitore, Achille — il tallonatore che finì preso per il tallone —, non comprendendo che la Tartaruga sta segando a metà il Tempo oltre che lo Spazio, le resterà dietro per l’eternità.
L’infinito (spazio senza inizio né fine) non esiste, e nemmeno la Bottiglia di Klein. Neanche l’eternità (tempo senza inizio né fine) esiste. E la dimostrazione è semplice: se Tempo e Spazio sono finiti e misurabili — ne abbiamo coscienza nella vita di ogni giorno —, allora sono “separati” da Eternità e Infinito; ma se sono “separati”, vuol dire che l’Eternità non è tutto il Tempo, e che l’Infinito non è tutto lo Spazio. E dunque anche Eternità e Infinito sono limitati!
La Tartaruga lo ha capito, Achille ancora no.

 

(...) Ovviamente quella notte — la notte delle due arance striminzite ma succose — non chiusi occhio. In ogni caso “notte” era un retaggio ridicolo per quei romantici che come me hanno scelto di vivere secondo il Circadiano Classico, cioè il modello delle 24 ore: in quella parte di galassia era ormai diffuso il Circadiano Stretto, a 20 ore — cinque per il sonno —, e peraltro io venivo da un posto organizzato sul Circadiano Largo — 26 ore, con il sonno distribuito in due turni di quattro ore e la veglia regolata sull’alternanza di otto e dieci ore, cosa che io trovavo scomodissima perché bisogna dotarsi di una sveglia corporea elettrochimica, e in effetti, quando gli impegni mi costringevano a seguire l’usanza del luogo, la mia veglia era sempre di nove ore, tanto che in tali frangenti le mie giornate potevano essere tranquillamente considerate, se mi si passa il neologismo, “Emicircadiane Larghe” —. Ritengo questi sistemi misti un grande inutile casino, e per tre ragioni: uno, l’essere umano ha avuto origine su un pianeta “a 24 ore”, per cui fisiologicamente il Circadiano Classico è l’alternanza veglia-sonno ideale; due, in ogni caso il calcolo di giorni, mesi e anni è rimasto quello “terrestre”, invariato fin dall’epoca monoplanetaria, per cui chi usa ad esempio il Circadiano Stretto si illude di vivere un giorno in più ogni sei (il calcolo è semplice: ogni 120 ore, chi usa il Classico si sveglia cinque volte e chi usa lo Stretto sei), e a ogni modo il vantaggio di dormire per un quarto della propria vita — 5 ore su 20 — anziché per un terzo — 8 ore su 24 — è bilanciato dalla perdita dei ritmi naturali e dal ricorso alla farmaceutica; tre, le relazioni umane sono difficoltose, perché inevitabilmente tendi ad avere amici solo fra chi usa il tuo stesso Circadiano. Una volta mi innamorai di una donna di Mira, là usano il sistema a 21 ore: finivamo sempre con l’incocciare l’uno nel momento di sonno dell’altra, per cui la nostra relazione finì a catafascio in pochi mesi.

 

(...) Perché, fottendomene delle proibizioni e delle sovrastrutture impostemi da tutta la mia situazione contingente, il giorno dopo semplicemente andai alla segreteria del protettorato e mi procurai un visto turistico, pagandolo profumatamente, quindi m’infilai sulla prima nave disponibile, presi una serie di coincidenze intersistema, infine sbarcai a Relogovoiran e, con un po’ di fortuna e un’immensa dose di sfacciataggine — dettata più dalla voglia di farla finita che dalle mie effettive doti —, mi mischiai a una comitiva di turisti e passai tutti i “posti di blocco” praticamente indisturbato!
Mi ero rincretinito con tutti quei problemi, accidenti, e poi, semplicemente facendo il “turista”, in poche ore ero davanti alla Gioconda di Leonardo. Peraltro sorpreso di quanto fosse piccolo, quel quadro.
Feci amicizia con una signora di Betelgeuse, della quale non ricordo il nome, e insieme ci facemmo appresso al manufatto, che era conservato dietro un campo di forza impenetrabile — ovviamente, nessuno poteva avvicinarsi a una cosa del genere, e non tanto perché potesse esserci del pericolo quanto perché, da sempre, le cose sconosciute incutono timore in noi creature vive con un retaggio monoplanetario cresciute in una incubatrice fatta di foreste e savane dove si rischiava di venire sbranati a ogni passo.

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La Possibilità di Moebius
(1992/2009 - novel)

 

Racconto originale
Genere: Fantascienza

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