250 tavole a mano libera: ritratti, eros, fama e creatività in un’opera unica che celebra arte e freschezza. Un delizioso studio di rapporti luce-ombra, proporzioni, asimmetrie, inquadrature, movenze, atteggiamenti, portamenti.
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Nella mia famiglia, e che io sappia nel mio intero albero genealogico, non c’erano artisti professionisti, e praticamente nessuno amava disegnare. Eppure nel mio DNA c’è registrata una qualche istruzione particolare: un gene venuto fuori per partenogenesi, visto che ereditariamente non c’era traccia di nulla del genere.
Ho disegnato fin da piccolissimo, avrò avuto sì e no 4 anni quando sporcai di segni incerti il primo foglio. All’inizio si trattava di cowboys e aerei della WWII (tipicamente Messerschmitt e Spitfire), poi i velivoli della serie Ufo, i mitici telefilm degli anni ’60 con il biondissimo comandante Striker e sulla Luna l’incantevole sorella (Gabrielle) di un musicista (Nick Drake) che avrei cominciato ad amare un decennio più tardi. Verso i 7/8 anni una passione cruciale: gli albi quindicinali da 150 lire (!) dei supereroi Marvel, in particolare Thor: lo stile ineguagliabile e ammaliante dei vari Jack Kirby, John e Sal Buscema, Walt Simonson mi ipnotizzò e mi stimolò a replicarne i tratti, a farne mie le capacità di resa. Da lì lo sprone a inventare un supereroe tutto mio (“Fog”), le cui avventure si dipanarono fino ai 13/14 anni su candidi album Fabriano con le matite Faber Castell e i pennarelli colorati Giotto e Carioca — fino alla scoperta della china, degli acquerelli e delle tempere quando però l’età era ormai troppo elevata per mantenere in vita quella innocente quanto grossolana magia. In termini generali, il proposito di diventare fumettista avvizzì di fronte a due muri insormontabili: l’enorme fatica e lunghezza di lavorazione delle opere, e la prospettiva di un futuro da fame (a 16 anni ero intanto migrato verso qualcosa di più maturo e articolato: il fumetto d’autore in stile Jean Giraud ‘Moebius’, Caza, Andrea Pazienza, Hugo Pratt, con il passaggio veemente dalla lettura dell’infantile Marvel a quella di testate e correnti artistiche intellettuali come Heavy Metal o Les Humanoïdes Associés, testimonianze di un’arte relegata tra le letterature di subordine e di mero svago, come se lo svago fosse necessariamente secondario all’impegno e non valesse almeno altrettanto — se non di più — per la funzione di alimentazione dell’immaginazione).
Più tardi la scrittura, gli studi specialistici di grafica e infine la professione — con l’avvento del Macintosh, delle cui strabilianti possibilità m’impossessai velocemente e voracemente — mi allontanarono sempre di più dall’illustrazione a mano libera. Tanto che, ormai adulto, pensai di aver perso per sempre quel primigenio talento.
Nell’estate del 2021, di punto in bianco, un acquisto quasi casuale (un’offerta online) eppure decisivo. Una delle tante “tavolette” digitali in circolazione, il ReMarkable 2, si rivelò un oggetto fantastico: non più spesso di tre carte di credito una sull’altra, e-ink ultra versatile, schermo ipersensibile, buona dotazione di “tools”. Uno strumento che rispondeva con inattesa, analogica precisione: il feeling era il medesimo della matita o della biro sul foglio di carta.
E non una carta qualsiasi: quella ruvida degli album da disegno scolastici del Novecento. Il ReMarkable 2 non è un medium digitale perfetto nella sua resa tecnica: ce ne sono in commercio di molto migliori, con tools più precisi e raffinatissima sensibilità alla pressione del pennino sul display. Ma nessuna tavoletta restituisce così nettamente la sensazione di disegnare con una matita di durezza HB su un iconico album da disegno F4 Fabriano!
(Dettaglio ancor più sbalorditivo, che solo impallinati e nerd — e grafici professionisti — possono apprezzare: quando hai finito un disegno e lo esporti sul computer per prepararlo all’uso, l’output di quei segni prodotti con pennelli, marker, matite e quant’altro, tutti digitali, non è in pixel ma in vettori! Perciò il ReMarkarble 2 non si rivela altro che una sorta di propaggine di programmi come Adobe Illustrator: una volta sul Mac, le “maniglie” si possono editare a piacimento come si fa per loghi, illustrazioni e disegni tecnici, in modo indipendente dalla risoluzione.)
Grazie al ReMarkable, in quel Luglio 2021 in cui il mondo era ancora perseguitato dalla pandemia Covid-19 e tutti ce ne stavamo volentieri sul divano di casa, due organi sensoriali si riunirono e richiamarono fuori dalla lampada il vecchio genietto sopito: l’occhio, per decenni rimasto separato dalla mano (il primo sullo schermo del Mac, la seconda sul mouse), tornarono a incontrarsi su una stessa superficie, confluirono verso una medesima singolarità, e riesplose la magia.
Peraltro in epoca di intelligenze artificiali, potentissimi quanto ottusi automi cui puoi comodamente ordinare un’illustrazione, foto, quadro, animazione — con tanto di effetti speciali e musica — semplicemente scrivendo con la tastiera del PC una breve descrizione di quello che vuoi e aspettando una manciata di istanti, dedicarsi al disegno a mano libera per esprimersi è una specie di atto rivoluzionario. Forse provocatorio. Sicuramente liberatorio.
È un fatto, sono un “uomo slash”: pubblicitario/scrittore/grafico/web designer/musicista, ora è riemerso pure l’antico disegnatore. Pare che quel motto in apparenza borioso e stralunato, “EScogito, Ergo Sum”, che imprimo ovunque mi presenti su Internet, non sia affatto campato per aria… Tant’è, sarebbe sciocco fare false professioni di modestia: la poliedricità mi regala autostima, grandi dosi di serotonina/dopamina/endorfine (altri slash!) e finora mi ha aiutato a salvarmi da quella depressione che invece ha purtroppo afflitto entrambi i miei genitori. Come che sia, questo mio ritrovato entusiasmo nel tratteggio manuale, tramite una tavoletta magica che conserva le opere nel cloud, è sfociato nel presente libro.
“Vips and Himmini”. Le due sezioni in cui il volume è diviso.
Nella prima, un vastissimo assortimento di ritratti di Vipperia varia — politici, sportivi, attori e altre celebrità sia italiane che internazionali —, campionario che fa parte di una più ampia proposta editoriale al servizio di media, agenzie e professionisti tramite un profilo sulla piattaforma Patreon. Tanti volti estrapolati dall’attualità, ma qualcuno anche dalla Storia. Ritrarre una persona famosa pone una sfida per l’artista, dal momento che il pubblico ha già una forte percezione visiva del soggetto: riuscire a catturare la somiglianza in modo realistico o stilizzato permette di affinare le proprie abilità, perché richiede una solida padronanza delle proporzioni anatomiche e del chiaroscuro dei tratti del viso. Inoltre i personaggi celebri sovente incarnano complessità psicologiche o sociali: attraverso i loro ritratti si possono esplorare e interpretare queste sfumature, dando vita a riflessioni sulla fama, il potere o l’umanità.
La seconda sezione contiene numerosi esperimenti con l’eros, che talvolta, a un’occhiata superficiale, possono sembrare sconfinare nel porno. Non mi si fraintenda e per favore non si pensi che «sulla soglia dei 60 anni il Mangla è diventato un depravato libidinoso…», ma il ritorno alla free-hand è stata anche un’occasione per cercare di assimilare — meglio tardi che mai! — qualcosa che prima non padroneggiavo. Il corpo femminile, con tutta la sua meravigliosa sinuosità. Semplicemente, non l’avevo mai saputo disegnare: credo sia uno degli effetti distorsivi dei modelli che mi influenzarono da bambino, i succitati supereroi Marvel e più in generale un immaginario fumettistico e filmico assai patriarcale e maschilista, quando non apertamente misogino. A 9 anni ero capace di raffigurare a memoria un bicipite in tensione o un duello fra cowboys o una deflagrazione o un aeroplano in picchiata (ma anche Paperino e Topolino, o Gigi Riva), tuttavia non avevo la più pallida idea di come si rendesse la più bella plasticità su cui vista umana possa posarsi — il corpo di una “himmina” (femmina, nel dialetto delle mie parti), o singole parti di esso, specialmente quelle che sprigionano tutto il mistero della sensualità… Perciò per favore si guardi a questi disegni con innocenza. Perché con innocenza sono stati fatti.
E a un “innocente” l’intera collezione di segni è dedicata: questo libro in fondo è un omaggio al… “me che fui e non divenni”, al germoglio che restò germoglio, al Mangla che fra i 10 e i 20 anni di età sognò la pubblicazione, un bel giorno, del proprio talento innato con carta e matita: quella piccola mano ha finalmente raggiunto il pubblico.
Il libro, in elegante edizione cartonata, è una succulenta chicca per quanti conoscevano “il Mangla” solo come scrittore, o solo come pubblicitario.
(Peraltro nelle ultime pagine lo scrittore non sa resistere e riemerge, regalando al lettore anche un racconto classico: il mini-thriller “L’isola”.)
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