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«Manglaviti, che cognome curioso...»

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È per via della mia “magno-grecità”, la quale oltre che nel sangue mi scorre anche nel patronimico.
Manglaviti risale infatti ai “Manglabites”, ufficiali delle guardie del corpo scelto dell’imperatore di Bisanzio inquadrate nella guardia imperiale palatina “varanga”; i “Varanghian” furono mercenari di origine vichinga al soldo dell’imperatore bizantino sin dai tempi di Harald, fratello del Re di Norvegia, che con cento cavalieri nel 988 d.C. offrì i propri servigi al signore di Bisanzio Basilio II “Bulgaroctono” (il cui regno fu il più lungo di tutta la storia dell'Impero: ben 50 anni, fino al 1025 d.C.). A sua volta il nome “Varanghian” deriva da “Vichinghi”, le origini cioè dei cavalieri di Harald.
In seguito l’appellativo di “Manglabites” divenne titolo onorifico militare, tipo ‘commendatore’, affiancato spesso a quello di “spatarokandidos”, ufficiale della guardia scelta imperiale palatina. Harald stesso fu insignito del titolo di “Manglabites”; un Olaf, eroe di una saga islandese medievale, lo ebbe inciso sull’elsa della spada; inoltre, su una borchia di un’allacciatura da mantello, Manglabites è riportato quale epiteto di un “Sant’Andrea”.

La più plausibile ipotesi sull’etimologia “Manglabites” è in “Megaélh Ellaév”, ovvero “guerrieri originari della Megaélh Ellaév” (= “Grande Grecia”, ossia la Magna Grecia). In altre parole, i Manglabites potrebbero essere riferiti alla loro origine di “megaélellaénikos” (= magnogreci). MANGLA infatti è assonante con MEGAÉLH e anche con la possibile contrazione MEGAÉLELLEN = MEGLEN = MENGLE = MANGLA, e BITES/VITES potrebbe essere un suffisso aggettivizzante.
Si potrebbe altresì ipotizzare uno scambio consonantico di “v” (il “ni” greco) con “v” (“vi”) nell’atto della traduzione dal greco, talché: MEGAÉLELLEN = MEGLEN = MEGLEV = MAGLAV…, in cui il suffisso sarebbe dunque ITES.
Il fatto che la guardia “varanga” annoverasse ufficiali di origine magnogreca potrebbe aver voluto significare una sorta di presenza ‘locale’ quale elemento di riferimento anche culturale in un contesto di guerrieri mercenari alloctoni — com’erano appunto i Vichinghi —. Ciò in analogia ai centurioni delle legioni romane, dove il centurione era sempre cittadino romano e gli ausiliari invece potevano provenire dalle province imperiali.

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«Provieni dunque dai Vichinghi?»

A giudicare dal colore dei miei occhi (e prima di me quelli di mio padre, mio nonno, mio bisnonno e via così) si direbbe proprio di sì.

«Le posso chiedere nel frattempo il perché della scelta di nomi tanto complicati (se non altro in termini di pronuncia) per i suoi personaggi?»

(La editor della casa editrice “Il Saggiatore” durante uno dei tragicomici tentativi di contatto.)

Sì, i nomi dei personaggi nei miei romanzi non sono comuni.
Shandy Judy Lee, Poortnoy Pyttra, Filippa Solveig Spatrow, Rainsbury Fosgate, Eor Tryllian, Cymetral Dompson, Tonyard Lay Berrouli, Imir Gatorblade, Bulvina Tanzor, Balcan Pentaur, Czar Derayyad, Wilson Fibula’r, Djadour Ingewasser, Gregorz Collistma, Emeralson Vryubbàri, Luc Lownliptus, Almon Runeystijr, Alphonso Naybeth Birri, Thalàssya Ispauppsnèma, Maurien Jitagsi, Enrica Yannimarks, Dasaryo Enetro, Tagìkh Eshmeryan, Carmicaela Brünif, Syd Neeljap, Stuart Cooney-Calpers, Tyta Ouellebecq, Jottie Millerstone, Itranzìz Gurén, Lerrùpam Vuyén, Flat Uzcyria, Pyra Madir, Snjepan Axossi, Gajnesha Wahipchopee, Bess Maqlyle, Oyaye Eniakwu Soto, Sinurras Pace il “Fumacatene”, Rupez Narria Valantguero, Sjallop Finyrsomersem, Tuvvi Nosieri, Tommy Hereless il “senza-Qui”, Louis Separstang, Dagron Shismahl, Jean-Baptiste Première Matropater, Dinsmour Legmo, Urumerça Bhas-Joni, Uta Niksson, Nikodemus Namwaathe, Robert Rewupi, Pedrag Schümmert, Ratterio Làlloli, Henry Chovasto Fibbelheim, Raul Hector Xabudrena, Malt Gedriqual, Pamya e Patrìs Harmundsdottir, Eutarnia Gardusieff, Benhuys Vott, Dallyott Callipyon, Malfram Spegg, Lowra (Laura) Deyrston Shimbulla, Joseph Embenesele, Nipton Pinjarra, Jall Pnitherton, Vincent Uxi, Panagiotis Zigarettulas, Juan de Oblontela, Oloferne Marsulio, Aniero Pagnostri, Egberto Contrato De Carolis di Mirgiunta.

Ma ci sono anche di più semplici: John Dyad, Heidi Vision, Rio Degaarde, Lilian Julmes, Bart Currera, Emilio Roadchenko, Lyuma Ren, Darylia Novac, Oriana Sispri.

Sono nomi che tentereste di citare a memoria dopo averli sentiti nel bar di Guerre Stellari. O ancora, le trascrizioni di un bambino di sette anni che si smarrisse nella hall di un hotel finendo nel bel mezzo di un congresso di odontotecnici anglosassoni, e poi, una volta restituito alla madre, volesse riportarle i nomi di quei simpaticoni dei dottori partecipanti.
Hanno una funzione onomatopeica, e al contempo “psicologico-funzionale”. Intanto, nella loro genesi (non ci crederete, ma la cosa funziona proprio così) succede al mattino, al risveglio: me li ritrovo in testa, e li appunto subito su una lista che tengo da anni. Mentre scrivo un libro, questa lista staziona sempre davanti a me, e al momento buono, quando si tratta di battezzare un personaggio, non ho che da scegliere il nome che “suona meglio” in base al ruolo che quel personaggio ha nella sceneggiatura.
Per esempio, un tizio che deve avere un’aura di mistero, che deve echeggiare invisibili influenze superiori, che ha legami con Massoneria e scuole occultiste e capi di governo e faccendieri internazionali, non può presentarsi al nume lettore con un nome insipido come James o Kurt o Vincenzina e un cognome altrettanto inodore-e-incolore come Williamson o Buratti o Müller, deve suonare terribile ed evocativo e la nazionalità dev’essere inafferrabile, dev’essere aleatorio come se si trattasse di un’esperienza onirica. Così ne L’Uomo Nuovo compare l’ineffabile “Almon Runeystijr”. (Oppure il capo dei capi della superloggia, che si chiama “Jean-Baptiste Premiére Matropater”, dai significati esoterici: “Giovanni il Battista” è l’alternativa massonica a Gesù Cristo e sta alla base della mitologia del Priorato di Sion, “premiére” è il riferimento allo sconosciuto “Jean I” sempre nella affascinante burla dei Priori di Sion, “matropater” è un gioco di parole che ammicca alla mistica Templare-Rosicruciana di Dio a un tempo “padre e madre” dell’umanità. Sì, lo so, detta così sembra una follìa: quando leggerete il romanzo capirete).

Altre volte, invece, il “nome strano” è un vero e proprio gioco a sorpresa... Ho citato “L’Uomo Nuovo”: lungo tutta l’opera, ogni tanto fa capolino la giornalista Shandy Judy Lee; proprio in chiusura del volume quel nome si rivela per ciò che è — una mia presa in giro — quando qualcuno evita che la giornalista calpesti un cadavere:

Il capo dei poliziotti allungò un braccio verso la vamp, che stava per calpestare lo slavo steso sul pavimento.
– Attenzione, Scendi Giù di Lì.
Cymetral la fissò con livore.
– Quella sarebbe Shandy Judy Lee? – sibilò.

Comunque, nessuno riesce mai a ricordare i nomi di più di due o tre personaggi secondari attorno al protagonista, mentre legge un libro, specialmente riaprendo le pagine il giorno dopo — «uh, e questo chi era, accidenti, il ladro o il marito?» —, e a dirla tutta neanche il nome del protagonista un’ora dopo aver finito il libro: così, tanto vale che questi nomi abbiano una loro originalità distintiva, di sapore onirico (’ché l’atto di leggere un romanzo è il viaggio in un sogno). Vogliamo mettere la sciatteria di uno “Zeno Cosini” con l’eleganza esoterica di un “Almon Runeystijr”, o la trasandatezza di un “Vitangelo Moscarda” con l’eco avventurosa di un “Rainsbury Fosgate” o con l’epica tumultuosa di un “Sinurras Pace, detto il Fumacatene”? Avanti, siate sinceri, senza aprire Google: chi erano Zeno Cosini e Vitangelo Moscarda?

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